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La depressione post partum colpisce molte mamme ma uscirne si può

Se ne parla poco. Pochissimo in profondità. Eppure la depressione post partum in Italia colpisce circa il 10-20% delle neomamme. Come affrontarla? È innanzitutto necessario conoscere questo fenomeno per interpretare al meglio le dinamiche e le possibili soluzioni. La depressione che si sviluppa nelle fasi perinatali è certamente il risultato di una pluralità di fattori, ma trova nella più generale vulnerabilità lavorativa, sociale e culturale femminile un elemento significativo. Aggravato, in diversi casi, dalla violenza fisica e psicologica di cui sono vittime molte donne, già durante la gravidanza, nell’invisibile chiusura delle mura domestiche. Per di più molti medici non sanno cogliere le depressioni “mascherate” da altri sintomi nei racconti delle donne e questo ritarda gli interventi precoci che sarebbero invece decisivi.
La nascita è denominata “il lieto evento” che, secondo il linguaggio corrente, indica con eccezionalità gioiosa il momento iniziale della venuta al mondo. Eppure è un “evento” molto complesso che si presenta, da un lato, con i tratti della “normalità” in quanto naturale, ordinario, abituale, antico; dall’altro ha un carattere di straordinarietà perché mettere al mondo è, per molti aspetti, sempre un “imprevisto” che irrompe nello scorrere ordinario dei giorni e trasforma inevitabilmente le storie quotidiane. La vita della coppia e della donna non sarà mai più la stessa e non sempre questo cambiamento è facile e immediato, talvolta occorrono mesi, anche anni, perché il “mettere al mondo” venga interiorizzato nella propria dimensione esistenziale.
Nella società del rischio la precarietà è diventata per molti aspetti “normale”. Tutti siamo più fragili davanti alle incognite della vita. Una fragilità diffusa riguarda la capacità di attivare risposte efficaci alle normali difficoltà sociali, familiari, esistenziali. Le povertà relazionali interpersonali, i tempi di lavoro che non si conciliano con i tempi dell’aver cura, le fragilità della coppia, l’isolamento familiare, l’assenza di reti sociali: tutti questi elementi contribuiscono oggi a rendere più incerta l’età adulta. È in questo contesto che si sviluppa la depressione post partum, spesso sottaciuta o negata, per lo stigma sociale e gli stereotipi. Lasciarsi interpellare dai cambiamenti significa andare oltre le informazioni quantificanti, superare la barriera dell’ovvietà e dei pregiudizi, essere capaci di confrontarsi con l’instabilità. È quindi prioritario potenziare l’attenzione alle relazioni interpersonali attivando e rafforzando quelle competenze emotive che spesso rimangono invisibili nei percorsi formativi.
Per favorire la crescente umanizzazione del mettere al mondo, senza farti inghiottire dalla depressione, sarà necessario innanzitutto diffondere un’etica della cura, dove prendersi cura dei figli non sia disgiunto dall’etica della responsabilità diffusa in senso sociale e civile. I ritmi di vita sempre più frenetici rendono difficile affrontare la prima esperienza di maternità (e paternità) anche perché mancano occasioni di confronto e scambi di esperienze tra i neo-genitori, chiacchierate spontanee, incontri nei cortili o nei parchi di quartiere. Una componente della depressione post partum ha origine da questa solitudine e dai vissuti di smarrimento e insicurezza educativa, anche in merito alle questioni più semplici, come organizzare la quotidianità, gestire il pasto, il sonno, il pianto, le regole. Per liberare nuova progettualità bisogna evitare che le penombre della maternità si trasformino in ombre scure, inquietudini profonde e turbamenti angosciosi.
Da Huffington Post

19 Luglio 2016

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